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Micceros - Petrolio (album)
Questo primo e unico album rappresenta una sintesi della produzione pluridecennale dei Micceros. Esso rappresenta una raccolta di tutti i
brani più famosi e dei meno conosciuti, compresi alcuni inediti e diverse demo registrate su nastri analogici e DAT e mai diffuse prima.
Come ogni parto unico e sperimentale di una mente visionaria, anche quest´opera raccoglie troppi filoni di sperimentazione
posti sotto la lente del microscopio musicale del gruppo in tanti anni per risultare una singola prova omogenea di lucida ispirazione
trash-punk. La raccolta paga infatti lo scotto dal punto di vista del percorso complessivo, che risulta quindi troppo frastagliato
per l´ascoltatore disattento e per quello poco aperto alla vastissima mole di distinti filoni di indagine e sperimentazione
stilistica, tecnica e lessicale.
I generi musicali spaziano dalla musica classica (abilmente piegata ai voleri del respiro dark del gruppo dei primi anni) al folk più
minimale, dall´hardcore punk al trash e ancora al power metal, dal reggae al rocksteady, dal trance-noise alla dream/trance/tekno.
La scelta di adottare il dialetto come lingua dei testi di ogni singolo brano ha consentito di rendere - se possibile - ancora più
originali ed esplosivi i brani non strumentali, certificando peraltro la sorprendente duttilità del ristretto ventaglio di dialetti a
cavallo di alpi ed appennini tra Liguria e Piemonte se paragonati alla staticità della lingua ufficiale, depressa tralaltro dai
recenti neologismi da social-network e dalla putrefazione avanzata del sistema scolastico italiano (la cui situazione viene approfondita
da uno dei brani in particolare).
Nell´economia degli arrangiamenti si infiltrano peraltro a gamba testa una serie di trovate a dir poco bizzarre che si sommano
alle pietose condizioni dei nastri originali di alcune incisioni, effettuate spesso con mezzi di fortuna in abitazioni in stato di
quasi-abbandono nell´entroterra savonese durante i rigidi inverni degli anni ´90. Tutti questi dettagli concorrono a contaminare
la complessa e combattuta ispirazione distribuita che ciascun componende del gruppo ha contribuito ad infondere (anche suo malgrado) al
percorso di concept - preproduzione - prova - arrangiamento - incisione. Naturalmente le drammatiche condizioni psicofisiche di alcuni dei
musicisti hanno concorso ad invalidare fortunatamente ogni (puramente ipotetico) tentativo di uniformare i brani alla moda musicale del momento
e/o alle comuni nozioni di armonia e composizione musicale (e spesso all´umana decenza).
Questo album rappresenta un inestimabile documento del secolo scorso che descrive, dipingendolo centellinando note pesanti e oscure,
le sofferenze adolescenziali e le profonde idiosincrasie di una generazione di miserabili giovani che iniziano a conoscere la squallida fiacchezza e
contradditorietà del mondo, sviscerando la delusione di quella sorpresa in pregiati turbinii di note violentissime e forsennate,
inusitati scrosci di martello pneumatico sui tom, logorroici assoli vocali in incomprensibili gargarismi arabeggianti e dialettali,
furibondi cori demoniaci e cambi di tempo repentini e continuati; il tutto pianto su una sindone musicale su cui gli
ascoltatori potranno asciugare le proprie passive lacrime bovine prima del sublime macello finale.
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Questo singolo rappresenta una sintesi della filosofia dei Micceros. Il pezzo consta di una breve introduzione vocale, seguita dal brano
musicale vero e proprio. Durante il processo introduttivo alcuni demoni intonano lamentevoli vocalizi, mentre vengono torturati da spasmi
orrendi, impersonando il buio dell´oblio e dell´ignoranza.
Il silenzio riverberato tra i gemiti contribuisce a inquadrare lo spazio e il tempo in una gora dimenticata dove la consapevolezza e la coscenza sono
vinte da un tempo infinito. Poi con un gemito il brano ha inizio e la musica comincia a dipanarsi in un climax edificante che contribuisce a rilassare
l´ascoltatore, mentre le strofe si rincorrono in un chorus abilmente ricamato.
A questo punto l´ascoltatore distratto potrebbe pensare che l´astio e la dissoluzione dell´intro siano in contrasto con la serenità
e la sobrietà della nenia intonata dalla chitarra, e invece NO! Ascoltando attentamente il testo si evince come la fabula si intreccia in un coacervo
di vicissitudini da bancone, scandite dal ritmo delle percussioni inesorabili nel loro disarmante minimalismo. Un paese disabitato fa da cornice ad una allucinazione
nella quale il vomito stesso del protagonista - nel quale l´ascoltatore non farà fatica ad identificarsi - sembra parlargli, rivelandogli teoremi funesti.
Alcune figure retoriche si alternano e altalenandosi caoticamente scandiscono il ritmo della narrazione musicale, quali la fiacchezza post trauma,
la presenza delle tenebre, la sindrome ossessivo compulsiva, la paranoia da ubriachezza, il pietoso gesto stesso del ricorrere all´intervento di un
rappresentante di vini per poi derubarlo del suo prezioso carico.
La scelta di ricorrere ad un cantante intonato come una pentola piena di sterco, a chitarristi bestemmiatori e a coristi eretici con gravi problemi di dizione, nonchè
all´impiego di tastieristi maniaci e feticisti campionatori, è da imputarsi alla necessità di poter ostentare elementi allorquanto esperti in detti ambiti e
sempre pronti a mettersi in discussione, sperimentando se richiesto - senza timore alcuno - pericolose derive e improvvisando performance meta-teatrali ispirati
a maledette avanguardie satano-cybernetiche durante le sessioni di registrazione.
E´ significativa la presenza dei Re Magi che ci riportano con la mente a Colonia, antica città che da secoli custodisce e venera le reliquie dei viaggiatori.
Questi versi evocativi eleggono il cantante protagonista di questo "drama" a re della città: Erode reincarnato per noi ascoltatori che siamo bambini
davanti alla meraviglia della musica, pronti a chinare il capo per gli oltre sette minuti di delirio acustico, onde offrirci simbolicamente nel sacrificio
supremo di questo ascolto maledetto di una Babele dodecafonica.
Quest´opera è un fulgido esempio di simbolismo, abilmente impiegato al servizio dell´elettronica più sfacciata, anch´essa subordinata
alla resa fotografica di immagini mentali tetre e decadenti, utilizzando i suoni come pennellate sulla tela di un pittore eretico impressionista pazzo. Alla luce di
questo approccio la citazione del "Fachiro Casimiro" ci teletrasporta sulle scalinate di Odessa, richiamando immediatamente il fotogramma della carrozzina
e l´occhio della madre.